Il Diritto all’oblio digitale, le linee guida della direttiva Ue di Viviane Reding

Il diritto all’oblio su Internet. Da un po’ di tempo a questa parte si sente spesso parlare di questo diritto all’oblio, inteso in senso digitale.

La cosa non è proprio così semplice e va ad investire una peculiarità proprio dell’elettronica, ossia la capacità di memorizzare per un tempo illimitato una informazione e di reperire facilmente la stessa.

Alla voce Wikipedia si può leggere, alla voce diritto all’oblio, che il diritto all’oblio è una particolare forma di garanzia che prevede la non diffondibilità di precedenti pregiudizievoli, per tali intendendosi propriamente i precedenti giudiziari di una persona.

In base a questo principio, non è legittimo diffondere dati circa condanne ricevute o comunque altri dati sensibili di analogo argomento, salvo che si tratti di casi particolari ricollegabili a fatti di cronaca.

Questa garanzia è variamente riconosciuta ed applicata a seconda degli ordinamenti.
In Italia questo principio si concretizza in alcune pronunce dell’authority per la privacy.
Con l’avvento di Internet sono sorte problematiche riguardo ai dati memorizzati nel Web e nei motori di ricerca.

Il punto è limitare la possibilità da parte di un utente di potersi figurare la carta d’identità di una persona attraverso dati reperiti in Rete e lì conservati in eterno. Eterno tecnologico, s’intende.

La cosa assume, come si può ben capire, un carattere transnazionale, se pure si cancella una informazione in Italia, la stessa, in assenza di una regolamentazione diffusa e condivisa, può riapparire in Finlandia, in Argentina o in Nuova Zelanda.

Ecco perché si sta muovendo l’UE, che ha presentato, attraverso Viviane Reding, commissario europeo per la Giustizia, i Diritti fondamentali e la Cittadinanza, una direttiva a fine Gennaio. L’idea è trasformare la stessa in legge entro il 2015.

La questione va affrontata usando il fioretto e non l’accetta, perché se è giusto far rimuovere un commento non proprio felice fatto a 15 anni, è altresì giusto, per un cittadino, essere a conoscenza del passato, civile e penale, di un futuro candidato politico o amministrativo.
In tal modo, come si può ben capire, stabilire come e quando sia “legittimo” far sparire una informazione diventa una materia delicata, impervia e scivolosa.

La bozza della Reding è articolata, principalmente, intorno ai seguenti cardini:

Maggiore trasparenza.  Ogni cittadino europeo dovrà essere informato, in modo semplice e chiaro, circa le procedure con cui i propri dati verranno gestiti da qualsiasi azienda con sede legale in Europa, a prescindere da dove si trovino i server in cui risiedono le informazioni.  

Controllo sui dati. Ogni utente dovrà fornire un consenso esplicito all’impiego dei propri dati personali da parte delle aziende. Inoltre, ogni cittadino avrà pieno accesso alle informazioni sul suo conto e potrà decidere in qualsiasi momento di cancellarle o trasferirle altrove. Quest’ultima ipotesi è stata introdotta per tutelare soprattutto i più giovani che, una volta adulti, potrebbero decidere di rimuovere video, foto, o post che li mettono in ridicolo e rischiano di comprometterne la vita affettiva o lavorativa.

Segnalazioni di data loss. Le aziende responsabili della gestione di dati privati come Facebook,  Google e così via avranno l’obbligo di avvertire tempestivamente gli utenti qualora le loro informazioni vengano trafugate. Il tutto in un arco temporale non eccedente le 24 ore.

Eccezioni. I cittadini europei non potranno richiedere la rimozioni di dati che li riguardano dai database delle testate giornalistiche. Questa eccezione si applica qualora i contenuti siano detenuti in modo legale: infatti, è impensabile che una persona possa ordinare la cancellazione completa di tutto ciò che la riguarda come atto di ritorsione nei confronti degli organi di informazione.

Benefici. Non appena la direttiva sostenuta da Reding verrà recepita da tutti gli stati membri, l’Europa avrà finalmente una legge unica in materia della tutela della privacy. Questo comporterà un risparmio ed un vantaggio per il fatto di non dover più avere a che fare con il labirinto legislativo che caratterizza il Vecchio Continente.

Sanzioni. Sono previste multe sino all’ammontare dell’1% dei profitti globali raccolti da ciascuna impresa poco rispettosa dei diritti degli utenti. In una bozza iniziale, la multa era fissata addirittura al 5%. Google, Yahoo e Facebook temono già una pioggia di ricorsi da parte degli utenti più battaglieri che potrebbe mettere in crisi i loro affari.

 

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