Pensavo ad un’altra notizia quando ho visto che l’antitrust accusa Google di posizione dominante.
Pensavo che fosse non già l’antitrust italiano, bensì qualche altra authority, pensavo, non so perché, a qualcosa di estrazione anglosassone.
E invece no, si tratta propria dell’antitrust italiana, o meglio, per i signo precisetti, dell’Autorità Autorità della concorrenza e del mercato.
Ora, sono dalla parte di chi ritiene che nessuna impresa, per grande e magnifica che sia debba avere più del 75% della fetta di mercato di riferimento; ergo dovrei essere dalla parte dell’Authority che, all’interno della relazione annuale, parlando diffusamente di e-commerce, di pubblicità nel web e di economia generata dalla Rete, ha messo in evidenza che Google e i social network più potenti, come Facebook, rischiano di penalizzare la corretta concorrenza con gli altri motori di ricerca e gli altri social network.
Google non è solo il motore più usato, ma altresì il player numero uno della pubblicità online. Dovrei pertanto essere d’accordo con il nuovo presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, quando afferma che dette posizioni dominanti danneggiano i media tradizionali. Dovrei essere dalla sua quando afferma altresì che “i motori di ricerca come Google e i cosiddetti social network ormai costituiscono un passaggio obbligato per la distribuzione dei contenuti web e Google, avvalendosi di questa posizione, si è posto l’obiettivo di divenire protagonista assoluto nel mercato della raccolta pubblicitaria. Nel giro di pochi anni, Google potrebbe diventare monopolista in questo mercato. L’assenza di regole adeguate rischia di marginalizzare l’industria editoriale, nonostante i significativi investimenti per realizzare processi di integrazione multimediale”.
Vero, potrebbe succedere, come si fa a negare una prospettiva simile Ma, nonostante tutto, non me la sento di essere con l’Authority.
Il mio sentore è che i burocrati e i funzionari continuano a percepire e assimilare i fenomeni web ai big player “tradizionali”.
Le persone non scelgono Facebook perché è l’unica opzione, e neanche Google perché è il più bello.
Per certi versi sono i migliori, danno un servizio o una emozione migliore. Nessuno ci costringe a usare Google e non Virgilio o Yahoo! E centinaia di persone sono iscritte contemporaneamente a Facebook, Bebo, Netlog, Badoo, MySpace, Twitter e alla via così.
Se si sceglie Facebook (che peraltro alcuni danno per spacciato entro 7-8 anni) è perchè ha qualcosa in più, lo si sceglie nello stesso modo in cui si va in un bar piuttosto che in un altro. O vogliamo accusare qualche bar di posizione dominante?
Se si scelgono i prodotti pubblicitari di Google non è per ammazzare il made in Italy o il made in Ue, lo si fa perché sono più seri, precisi e perché pagano di più.
L’Authority ha battuto un colpo, ma cosa ha fatto per rendere davvero concorrenziali settori come quello assicurativo o energetico? Poco o nulla, forse neanche per colpa loro che hanno solo il compito di segnalare.
Il predecessore di Pitruzzelli all’Antitrust, l’attuale sottosegretario Catricalà, ebbe a dire che, in merito al fatto che il governo Berlusconi avesse destinato un contributo statale per l’acquisto dei decoder prodotti da Paolo Berlusconi e necessari a rendere visibili le trasmissioni di Mediaset, non si configurava un caso di conflitto di interessi perché il vantaggio economico della famiglia era stato “verosimilmente contenuto!”.
Ecco, all’Antitrust mi sento di consigliare di lasciar perdere il web e di occuparsi di quello che realmente non va nella concorrenza “reale” e che potrebbe far risparmiare qualche euro alle famiglie.