Una recente inchiesta ha fatto emergere che in Italia ci sono circa 2600 baby imprenditori, nell’etichetta rientrano i titolari di attività al di sotto dei 20 anni, quindi veramente baby non solo per fare gli imprenditori ma altresì per il mondo del lavoro in generale.
Questo il dato complessivo, che va ovviamente interpretato andando un po’ ad interpolare meglio i dati stessi traendone poi delle considerazioni di carattere, come dire, sociologico.
Se guardiamo alla regioni ecco subito una sorpresa.
La Campania, una volta Felix adesso mica tanto, batte in percentuale, 14,6% a 13,4%, la laboriosa Lombardia, la locomotiva d’Italia. Terza la Sicilia con un bel 9,7%.
La ripartizione, duale in questo caso, per sesso mostra, su 10 baby imprenditori, un 7-3 a favore dei maschietti. I settori di interesse dei baby imprenditori italici sono perlopiù concentrati in 3 grosse macroaree: nel commercio per il 35,1%, nelle costruzioni per il 23,3% e nell’agricoltura per il 18,5%.
Anche in questo caso è possibile trovare delle attività endemiche, ossia fortemente relazione al tessuto connettivo locale.
Ed ecco allora che i baby imprenditori nell’agricoltura sono concentrati nella Puglia (31,7% dei baby imprenditori pugliesi), nel Lazio (22,3%) e nel Veneto (20%).
Mentre più della metà dei “baby imprenditori” calabresi e campani si sono tuffati nel commercio, le percentuali sono, rispettivamente, del 54,4% e del 50,5%.
Il 37,8% degli emiliani, il 33,3% dei toscani ed il 32,9% dei lombardi preferisce l’edilizia.
Se passiamo ad uno step successivo, ossia agli imprenditori under 20 notiamo delle somiglianze; in questo caso le percentuali, sul totale nazionale, regione per regione sono: Lombardia 13,5%, Campania 11,9% e Sicilia 10,3%.
Ergo le regioni guida sono sempre le stesse: Campania, Lombardia e Sicilia, che d’altra parte sono le più numerose. Il dato andrebbe interpretato meglio ma azzardiamo qualche considerazione spiccia.
Nelle regioni del sud si diventa imprenditori perché non c’è molto lavoro, sembra paradossale ma è così.
In Lombardia invece si è invogliati da un sistema, più ancora che in altre realtà nazionali, strutturato per favorire le imprese e le attività.
Generalmente i nuovi imprenditori si “buttano” su attività che hanno in qualche maniera svolto o collaterali, quanto non proprio le stesse, alle attività di famiglia.
Molto diffuse, soprattutto al sud, le società con più soci, un dato questo rilevabile più sensibilmente che analiticamente.
Mancano purtroppo all’appello, in una percentuale sensibile intendo gli imprenditori nell’hi-tech, nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie, nella chimica, etc.
Ma questo è un problema vecchio, in un paese non per giovani nella classe dirigente e nella leadership