I sociologi hanno già provveduto a classificare.
Dopo la mia generazione, la Generazione X, che fu anche un programma di Ambra Angiolini, c’è stata la Generazione Y, vale a dire i nati tra il 1980 e il 1995.
E adesso si sta facendo largo la generazione Z.
Trasversali alle generazioni Y e Z ci sono i nativi digitali, divisi a loro volta in: Nativi Digitali Puri (0-12 anni); Millennials (14-18 anni); Nativi Digitali Spuri (18-25). E quelli fra 12 e 14 anni? Figli di una digitalità minore.
Scienziati, sociologi e psicologi stanno incominciando a studiare come questo mare magnum informativo va a combinarsi con processi mentali e psicologici stratificati nel corso di millenni e che si ritrovano a essere messi in discussione.
I nativi digitali hanno una esperienza precoce con devices tecnologici. L’89% delle famiglie usa il computer, le camerette dei bimbi sono piene dei new media. Sono abituati al touch screen e sono i nuovi influencer.
Sul fronte dell’apprendimento, o sui problemi connessi è troppo presto per fare qualche ricerca seria. Di certo si può dire che i 18enni di adesso non sono più preparati culturalmente di quelli di 30 anni fa. E lasciano ancora di più a desiderare sul fronte comportamentale e psicologico, laddove si nota un edonismo e un esibizionismo sfrenato, il più delle volte fine a se stesso.
Sono la fascia più attenzionata dagli esperti di marketing che vedono nel loro modo di fare i più semplici da convincere a comprare e possedere quell’oggetto o prodotto che va assolutamente comprato, perché è cool. Sino al prossimo prodotto o oggetto ancora più cool.
I nativi digitali sono multitasking, qualcuno parla, prendendo in prestito la solita parolina da Bauman, di tecno liquidità. Mentre studiano ascoltano la musica, aggiornano il profilo su Facebook, chattano con gli amici, rispondono (sempre meno) agli sms. Dispersivo, non trovate? Eppure, se ben incanalata la cosa potrebbe anche favorire gruppi di discussione e un apprendimento più rapido ancorchè condiviso, in cloud. Cosa ne penserebbero i professori di una simile rivoluzione? Intendo che magari si arriverà a interrogare un gruppo di lavoro e non un singolo studente.
Sono proprio i professori a dettare i ritmi. E la lentezza. Sono il collo di bottiglia.
Un ragazzino di 9 anni è più smart e esperto di new media di una insegnante cinquantenne. E’ chiaro che non vorrà essere messa in difficoltà, quindi alla via a insegnare alla vecchia maniera, mentre intorno il mondo ha un’altra marcia.
Quanto a risorse disponibili per digitalizzare le classi, in particolar modo quelle primarie, le cose non vanno affatto bene. Siamo in compagnia di Portogallo, Grecia e Romania. Per una prima alfabetizzazione tecnologica servirebbero tra i 6 e 9 miliardi di euro.
La portaerei Cavour è costata 1,3 miliardi. Non pochi, ma neanche tantissimi, soprattutto se spalmanti su un piano pluriennale.